L’ignoto

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Io non so chi tu sia. So che una sera
noi ci gettammo l’anima negli occhi,
con l’impeto di chi brama e non spera.
La ripigliammo cauti, quasi tocchi
da un dubbio, e ancor la scagliammo a segno,
come la freccia che dall’arco scocchi.
Senza accostarci, senza altro disegno
che quello di guardarci ebbri d’amore,
ma disgiunti da un qualche aspro ritegno.
Così il male durò. Più tentatore
d’allora, a tratti, il tuo volto m’abbaglia.
Curiosità di te mi punge il cuore,
desiderio di te me lo attanaglia.

(Amalia Guglielminetti)

 

 

(immagine dal web)

A ridosso del tempo

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A ridosso del tempo
c’é la tua immagine
mai consumata
nemmeno da un bacio.
Hai creduto alla gente facile
e non al genio
che ti guardava in volto
per avere solo un sospiro.
Ma non hai messo
l’anima sulle labbra
tu non mi hai mai baciato.

(Alda Merini)

 

 

(immagine dal web)

Dare e avere

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Nulla mi dai, non dai nulla
tu che mi ascolti. Il sangue
delle guerre s’è asciugato,
il disprezzo è un desiderio puro
e non provoca un gesto
da un pensiero umano,
fuori dall’ora della pietà.
Dare e avere. Nella mia voce
c’è almeno un segno
di geometria viva,
nella tua, una conchiglia
morta con lamenti funebri.

(Salvatore Quasimodo)

(immagine dal web)

Il nostro canto inespresso

Citazione

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Per chi ai suoi giorni non vede più che un colore di tramonto e sente, attraverso il suo cielo, salire l’estremo pallore, per chi ancora beve, con occhi allucinati, l’incanto delle cose, ma non sa, non può (perché è troppo tardi – perché non c’è più forza – perché tutto è stato bruciato, fino all’ultima stilla) tradurlo più in parole, ah, Tullio, è come rivivere trovare un’anima giovane che sprigiona il nostro stesso canto inespresso. […]

(Antonia Pozzi a Tullio Gadenz)

 

 

 

(immagine dal web)

Veglia

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Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita

(Giuseppe Ungaretti, Cima Quattro, 23 dicembre 1915)

 

 

 

(immagine dal web)

Maledetto te

 

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Maledetto te
che hai preso il fiore delle mie labbra
e senza baciarlo l’hai buttato per terra
e poi l’hai mostrato a una fanciulla inerte.
O te maledetto
che hai cambiato i miei giorni
in un orrendo frastuono
e non sento più angeli
ma vipere intorno

(Alda Merini)

 

 

(immagine dal web)

 

Ci sarà mai

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Ci sarà mai qualcuno come me
che il mattino si alza senza amici,
che il giorno lo passa senza amici,
e la sera va a letto senza amici?…
Ci sarà mai qualcuno come me
che tende l’orecchio assetato
a sentire se alcuno lo chiami
anche per dividere un dolore,
o ci sarà mai una mano tesa
di bambino sperduto dentro al mondo
che travolga il tuo pugno
offeso dall’amarezza?

(Alda Merini)

 

 

(immagine dal web)

 

Lo specchio

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Ti do me stessa,
le mie notti insonni,
i lunghi sorsi
di cielo e stelle – bevuti
sulle montagne,
la brezza dei mari percorsi
verso albe remote.

Ti do me stessa,
il sole vergine dei miei mattini
su favolose rive
tra superstiti colonne
e ulivi e spighe.

Ti do me stessa,
i meriggi
sul ciglio delle cascate,
i tramonti
ai piedi delle statue, sulle colline,
fra tronchi di cipressi animati
di nidi –

E tu accogli la mia meraviglia
di creatura,
il mio tremito di stelo
vivo nel cerchio
degli orizzonti,
piegato al vento
limpido – della bellezza:
e tu lascia ch’io guardi questi occhi
che Dio ti ha dati,
così densi di cielo –
profondi come secoli di luce
inabissati al di là
delle vette.

(Antonia Pozzi, da “Parole: diario di poesia“)

 

 

 

(immagine dal web)

Grecia, 1970

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Atene, Grecia, segreto, vertice
di favola incastonata dentro il topazio che l’inanella.

Sul proprio azzurro insorta
in minimi
limiti, per essere misura, libertà
della misura, libertà di legge che
a sé liberi legge.

Sino dal mare,
dal cielo al mare,
liberi l’umano vertice,
le legge di libertà, dal mare al cielo.

Non saresti più, Atene, Grecia,
che tana di dissennati? Che
terra della dismisura, Atene,
mia, Atene occhi aperti,
che a chi aspirava all’umana
dignità, apriva gli occhi

Ora, mostruosa accecheresti?
Chi ti ha ridotta a tale,
quali mostri?

(Giuseppe Ungaretti)

 

 

 

(immagine dal web)

Sereno

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Dopo tanta nebbia
a una a una si svelano le stelle.
Respiro.
E nel fresco che mi lascia il colore del cielo,
mi riconosco
in questo gioco infinito.

(Giuseppe Ungaretti)

 

 

 

(immagine dal web)

Giorno per giorno

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Da “Il dolore”
(1940-1946)

4
Mai, non saprete mai come m’illumina
L’ombra che mi si pone a lato, timida,
Quando non spero più…

7
In cielo cerco il tuo felice volto,
Ed i miei occhi in me null’altro vedano
Quando anch’essi vorrà chiudere Iddio…

8
E t’amo, t’amo, ed è continuo schianto

9
Inferocita terra, immane mare
Mi separa dal luogo della tomba
Dove ora si disperde
Il martoriato corpo…
Non conta… Ascolto sempre più distinta
Quella voce d’anima
Che non seppi difendere quaggiù…
M’isola, sempre più festosa e amica
Di minuto in minuto,
Nel suo segreto semplice…

13
Non più furori reca a me l’estate,
Né primavera i suoi presentimenti;
Puoi declinare, autunno,
Con le tue stolte glorie:
Per uno spoglio desiderio, inverno
Distende la stagione più clemente!

(Giuseppe Ungaretti)

 

 

 

(immagine dal web)

Il pensiero fluttuante della felicità

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(…)

Tu che avevi in te il mio bene
cui ero andato incontro, ma poco,
camminando da solo
e inciampando nella mia ombra,
tu che me lo porti in dono
e non vuoi né congedo a occhi bassi dal passato
né abiura, né pentimento
e sorridi profonda
in me più di me stesso e risplendi,
non ti fermare sulla soglia:
nulla di degno posso darti in cambio,
entra, prendi possesso della casa,
nei muri, nelle fondamenta. (…)

(Mario Luzi)

 

 

 

(immagine dal web)

 

Potresti

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Potresti anche telefonarmi
e dirmi in un soffio di vita
che hai bisogno del mio racconto:
favole di una bimba che legge i sospiri,
favole di una donna che vuole amare,
una donna che cerca un prete
per avere l’estrema unzione.

(Alda Merini)

 

 

 

(immagine dal web)

Come tu vuoi

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La tramontana screpola le argille,
stringe, assoda le terre di lavoro,
irrita l’acqua nelle conche; lascia
zappe confitte, aratri inerti
nel campo. Se qualcuno esce per legna,
o si sposta a fatica o si sofferma
rattrappito in cappucci e pellegrine,
serra i denti. Che regna nella stanza
è il silenzio del testimone muto
della neve, della pioggia, del fumo,
dell’immobilità del mutamento.

Son qui che metto pine
sul fuoco, porgo orecchio
al fremere dei vetri, non ho calma
né ansia. Tu che per lunga promessa
vieni ed occupi il posto
lasciato dalla sofferenza
non disperare o di me o di te,
fruga nelle adiacenze della casa,
cerca i battenti grigi della porta.
A poco a poco la misura è colma,
a poco a poco, a poco a poco, come
tu vuoi, la solitudine trabocca,
vieni ed entra, attingi a mani basse.

E’ un giorno dell’inverno di quest’anno,
un giorno, un giorno della nostra vita.

(Mario Luzi)

 

 

 

(immagine dal web)

 

 

da Il volume del canto

impronte

 

Lascio a te queste impronte sulla terra
tenere dolci, che si possa dire:
qui è passata una gemma o una tempesta,
una donna che avida di dire
disse cose notturne e delicate,
una donna che non fu mai amata.
Qui passò forse una furiosa bestia
avida sete che dette tempesta
alla terra, a ogni clima, al firmamento,
ma qui passò soltanto il mio tormento.

(Alda Merini)

 

 

 

(immagine dal web)